Il team multidisciplinare di Scienziati italiani che ha realizzato lo Studio proviene dal Centro di Neuroscienze e Tecnologie Sinaptiche di Genova, dall’IIT e dal Centro di Nanoscienze e Tecnologie di Milano, ed è stato affiancato anche dal Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in provincia di Verona, dall’Innovjub-SSI di Milano e dall’Università dell’Aquila. Il progetto ha beneficiato di un finanziamento da parte della Fondazione Telethon, dal Ministero della Salute e da altre fondazioni private.
I risultati sono stati pubblicati dalla Rivista scientifica Nature Materials.
Non è la prima volta che viene creata una retina artificiale, ma questa è la prima ad essere interamente organica, interamente costituita da strati polimerici, e che permette il rimpiazzo dei fotorecettori degenerati, ovvero i neuroni che nella retina sono atti alla trasduzione dei fotoni in corrente elettrica.
Lo studio è stato testato su modelli animali con geni modificati affinché riproducessero la retinopatia, ovvero un danneggiamento della retina che può coinvolgere vari livelli e può riguardare la macula oppure le zone periferiche, con svariate conseguenze tra cui un aumento dell’acuità visiva e un aumento nella capacità orientativa dell’animale guidato dalla luce.
Altro innovazione relativa alla nuova tipologia di retina riguarda il recupero perdurato per almeno 10 mesi a seguire dall’impianto con un’assenza di rigetti o infiammazioni.
Secondo il Professor Fabio Benfenati, Direttore del Centro IIT-NSYN di Genova, si tratta di una novità che andrà a definire un’alternativa fondamentale rispetto alle metodiche usate ad oggi per ripristinare la capacità fotorecettiva dei neuroni: questo prototipo aumenta la tollerabilità, la lunga durata ed anche la completa autonomia di funzionamento. Per conseguenza, non sarà più necessaria una sorgente esterna di energia.
La retina artificiale presenta una composizione unica nel suo genere, è formata da un doppio strato polimerico con alternanza di un semiconduttore ed un conduttore su base di fibroina, una proteina derivante dalla seta. Essa consente di aggirare il danno subito dalla retina vera e propria, tramite un processo di fototrasduzione.
Le altre caratteristiche di questa innovazione tutta italiana ce le racconta il Professore Guglielmo Lanzani, Direttore del Centro IIT-CNST di Milano, specificando come morbidezza, leggerezza e flessibilità derivino proprio dall’organicità della retina, la quale assicura dunque una totale biocompatibilità ed un’assenza di complicazioni ai tessuti circostanti; inoltre, i polimeri organici trasmettono impulsi elettronici e ionici senza eccessiva dispersione di calore, che potrebbe causare ulteriori danni in una retina che è stata già oggetto di un processo degenerativo.
Ad ogni modo, è bene sottolineare che per far funzionare correttamente la retina artificiale organica, occorre una parziale funzionalità di quella naturale: se i fotorecettori non ci sono più, i neuroni ottici rimangono sani, permettendo il flusso del segnale elettrico. Per esempio, una patologia sulla quale la retina artificiale organica riesce ad intervenire correttamente è la retinopatia pigmentosa, la quale coinvolge solo i fotorecettori, ovvero lo strato di neuroni della retina e non quelli del nervo ottico.
La fonte: Nature Materials