Il grafene, materiale molto sottile costituito da uno strato di atomi di carbonio e dotato di straordinarie proprietà fisiche e chimiche, flessibile come la plastica, ma resistente come un diamante, è un materiale che non finisce mai di stupire gli studiosi. Grazie a queste sue particolari caratteristiche, infatti, è da sempre oggetto di studio da parte di fisici e chimici e per questo applicato in diversi campi, tra cui il biomedico, più recisamente neurologico. Ad oggi, in questo campo, sono ancora pochi i lavori che hanno analizzato e dimostrato le reali interazioni tra il grafene e il tessuto neuronale. Nell’ultimo anno, sono due gli studi che si sono contraddistinti per i risultati raggiunti.
Il primo studio, legato al progetto Neurofibres selezionato dalla Commissione europea nell’ambito del programma Horizon 2020 e condotto da sette partner tra i quali l’Università di Trento (UniTrento), ha cercato dimostrare come grazie al grafene si potesse riparare il midollo spinale. Il comunicato stampa divulgato dall’Università fa l’esempio della lampada che cada a terra e si rompe. Qual è la reazione che segue? Fare il possibile per ricomporre o sostituire con cura i pezzi e ripristinare la connessione elettrica. Il gruppo di ricercatori interdisciplinare, coinvolto nel progetto e composto da neuroscienziati, medici, bioingegneri, fisici, ingegneri elettronici e meccanici, insieme a un’azienda di microsensoristica ha fatto proprio una cosa simile: “riparare” il midollo spinale, utilizzando il grafene. L’intento di questa ricerca era di dare un contributo alla neurologia riparativa sviluppando sistemi bioelettronici in grado di stimolare la rigenerazione degli assoni (conduttori dell’impulso nervoso) e l’attivazione del circuito neuronale, così da poter trattare lesioni al sistema nervoso centrale, e recuperare le funzionalità importanti, a cominciare dalla capacità di camminare. Un obiettivo ambizioso e pieno di interrogativi e difficoltà, ancora da risolvere.
Un altro studio più recente condotto nell’ambito del progetto Graphene Flagship, finanziato dall’Unione Europea e pubblicato successivamente su Nature Nanotechnology, vede coinvolte la SISSA, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, in collaborazione con l’Università di Antwerp (Belgio), l’Università di Trieste e l’Istituto di Scienza e Tecnologia di Barcellona (Spagna). Gli scienziati hanno rivelato che, lasciando crescere alcuni neuroni su un singolo strato di grafene, l’attività di comunicazione tra essi tende a potenziarsi. Questo fenomeno è probabilmente dovuto alla capacità del nanomateriale di “intrappolare” sulla sua superficie alcuni ioni.
“È come se il grafene fosse una sottilissima calamita sulla cui superficie rimane intrappolata una parte degli ioni potassio presenti nella soluzione extracellulare frapposta tra le cellule e il grafene. È questa piccola variazione a determinare l’aumento dell’eccitabilità neuronale” commenta Denis Scaini, ricercatore della SISSA che ha guidato la ricerca insieme alla dott.ssa Laura Ballerini.
Un potenziamento che, però, si realizza solo quando il grafene viene messo a contatto con un materiale isolante, come il vetro, mentre svanisce quando è a contatto con un conduttore, come il rame o il ferro. In questo modo diventa essenziale la scelta dei materiali e delle tecnologie con cui combinare gli stessi per rendere massime le interazioni fra grafene e ioni, e dunque per aumentare l’attività neuronale. Affinché possa essere applicato in futuro, soprattutto in ambito neurologico, è fondamentale capire il modo in cui questo materiale varia il suo comportamento in base al substrato su cui si adagia. A conclusione e a conferma delle sue proprietà uniche viene spontaneo pensare ad esempio alla sua applicazione nello sviluppo di innovativi elettrodi di stimolazione cerebrale o dispositivi visivi.
Fonti: Università di Trento, Sissa