Rallentare il progredire dell’Alzheimer attraverso un flash luminoso, è quello che hanno dimostrato i ricercatori del Mit e del Georgia Institute of Technology grazie ad uno studio pubblicato su una delle riviste più importanti del settore, Nature; nella ricerca, gli studiosi hanno pubblicato i risultati di un test effettuato sugli animali, dei roditori nello specifico, che consisteva nell’esporre questi ultimi a dei flash luminosi intermittenti, muovendosi su differenti frequenze.
Una determinata frequenza, 40 flash al secondo per la durata di un’ora, ha avuto degli effetti sorprendenti: i topi a cui erano stati sparati questi fasci di luce davanti agli occhi, nelle 24 ore successive al test, manifestavano una riduzione dei sintomi patologici e delle proteine beta amiloidi, vale a dire le proteine che nei soggetti affetti da Alzheimer si accumulano in placche, impedendo il regolare funzionamento neuronale.
I topi non sono stati esclusivamente delle mere cavie bensì fonte di ispirazione: i ricercatori, difatti, avevano notato come questi presentassero onde cerebrali gamma più deboli sin dagli step iniziali della malattia, quando ancora non venivano registrate placche amiloidi o problemi relativi alla sfera mnemonica. Annabella Singer, professore di ingegneria biomedica alle Georgia Tech University, spiega il perché affermando che lo sviluppo dell’alzheimer potrebbe verificarsi nel momento in cui le onde gamma non eseguono bene il loro ruolo; partendo da questo concetto, i ricercatori hanno tentato una stimolazione di queste ultime attraverso degli impulsi luminosi ad intermittenza, con una frequenza di 40 volte ogni secondo. Così facendo, i neuroni vengono incentivati a inoltrare degli impulsi a quella stessa identica frequenza, come se grazie alla luce riuscissero a sincronizzarsi facendo diminuire così la produzione di proteine amiloidi, in base a delle logiche che sono ancora da approfondire ed indagare. Come se ciò non bastasse, i flash luminosi intermittenti hanno consentito di rimuovere le placche amiloidi già prodotte in maniera notevole.
L’azione duplice della luce ha effetto solo in due specifiche aree cerebrali che sono la corteccia visiva e l’ippocampo, responsabile delle memorizzazione delle esperienze. Per ora non si hanno conferme in merito all’efficacia sugli esseri umani ed i vari test clinici potranno iniziare solo ed esclusivamente quando il Ministero della Salute americano darà l’ok a procedere. L’unico problema consisterebbe nel fatto che nei pazienti affetti da Alzheimer, le placche si producono anche in aree cerebrali non associate alla vista e quindi non sensibili ai test luminosi; i ricercatori, però, credono che risincronizzando le onde gamma, si possono diminuire le proteine amiloidi anche in zone che non hanno nulla a che fare con la vista, il tutto sta nel riuscirci in maniera non invasiva e la ricerca sta andando avanti seguendo questa logica.
La fonte: Repubblica