Negli ultimi decenni, al fine di rendere la valutazione del livello di stress il più oggettiva possibile, si è passati a studiare le alterazioni fisiologiche ad esso correlate, le quali sono principalmente riconducibili, a livello di Sistema Nervoso Autonomo, ad un’iperattivazione simpatica e ad un’inibizione del parasimpatico, riguardante soprattutto gli effettori cardiaci. Diverse possono essere le tecniche da utilizzare per la misurazione di queste alterazioni.
Tra queste è importante ricordare:
– Microneurografia. La tecnica, complessa ma molto accurata, consente di registrare direttamente in un paziente cosciente l’attività di una o più fibre di un dato nervo periferico; può essere impiegata su nervi cutanei o muscolari, mielinizzati o non mielinizzati, afferenti o efferenti, ed è la metodiche più precisa e riproducibile di quantificazione dell’attività del sistema simpatico, come dimostrato da molti studi. E’ una tecnica complessa e non adatta per applicazioni su vasta scala.
– Misure di noroadrenalina, ATCH e cortisolo. Anche l’analisi biochimica può fornire un indice preciso del livello di stress a cui è sottoposto un soggetto, vista la stretta correlazione tra determinati ormoni e i processi stressogeni che coinvolgono l’asse ipofisi-ipotalamo-surrene.
– Misure del livello di noradrenalina nel sangue, ad esempio, sono un indice diretto del livello di attivazione del sistema simpatico. In alternativa, risultano molto valide le analisi del livello di ormone adrenocorticotropo (ACTH) e cortisolo, ormone immunosoppressore rilasciato in caso di stress nel sangue, nelle urine o nella saliva.
– Analisi strumentale: impedenza cutanea, attività cardiaca e attività pressoria. Essendo frequenza cardiaca e pressione arteriosa due fattori dipendenti fondamentalmente dell’attività simpatovagale, una loro valutazione quanto più possibile oggettiva (ambiente privo di stimoli) può dare informazioni preziose sullo stato vegetativo del soggetto. In particolare, un alto livello di stress risulta correlato ad un relativo aumento di impedenza cutanea e pressione arteriosa (quest’ultima caratterizzata da aumento stabile di 10 mmHg).
Per quanto riguarda invece l’attività cardiaca, l’indice che si è rilevato più interessante nell’analisi dello stress è la variabilità della frequenza cardiaca (Heart Rate Variability, HRV), direttamente correlato all’azione del Sistema Nervoso Autonomo. In sintesi, la frequenza cardiaca può essere definita come il numero medio di battiti cardiaci al minuto: in realtà il tempo che intercorre fra un battito e l’altro non è costante ma cambia in continuazione. La variabilità cardiaca descrive appunto la variazione del tempo che intercorre tra un battito e l’altro misurato come intervallo R-R ed espresso in millisecondi.
La HRV varia in risposta a diversi fattori quali la posizione del corpo, il movimento, il ritmo del respiro e gli stati emozionali, e rappresenta una misura indiretta dell’interazione simpato-vagale a livello del Nodo Seno Atriale. Può essere misurata attraverso:
➢ Time domain measures (dominio del tempo), consistente in semplici statistiche derivate dagli intervalli battito-battito ed espresse in unità di tempo (msec).
➢ Frequency domain measures (dominio delle frequenze), misure basate sull’identificazione e quantificazione (in termini di frequenza e potenza) dei principali ritmi oscillatori di origine fisiologica di cui si compone una sequenza di intervalli R-R.
La tecnica del biofeedback, attraverso cui è possibile studiare l’interazione tra mente e corpo, permette di avere un quadro più completo sulla propria condizione di stress attraverso la rivelazione di determinati parametri come il ritmo del respiro, la temperatura cutanea, le onde cerebrali e l’attività elettrica delle pelle e dei muscoli.
Con questo semplici esami è possibile valutare lo stato di stress di un soggetto con particolare focus sulle sue condizioni mentali e fisiche avendo in questo modo un esame predittivo per la salvaguardia della salute.
Fonte: Pubmed